Chi mi metto stasera?

Chi mi metto stasera?

Chi Mi Metto Stasera?” è uno spettacolo brillante che alterna sketch comici, pezzi di cabaret, canzoni e immaginarie querelle tra due amici artisti sulla scena e nella vita. Brani inediti e riadattamenti musicali e teatrali si susseguono a ritmo leggero ma incalzante, come pezzi di LEGO incastrati tra loro, con la sottile grazia di una comicità “romanesca ma non troppo” e un desiderio elegante e mordace di “non prendersi troppo sul serio”; affrontando anche temi delicati (come la parità di genere e dei diritti personali) con un monologo comico (MarcoVsMarta) ispirato alle disuguaglianze della lingua italiana e non solo.

Interpreti

Marco Giandomenico: attore, imitatore e speaker radiofonico con esperienze che variano dal teatro classico della commedia dell’arte di Ruzante, diretto dal M° Luciano Damiani, ad essere stato il primo attore scritturato dalla Costa Crociere per i suoi spettacoli a bordo e passando per trasmissioni tv come “…e Viva il Video Box” (RaiDue) e fiction (Rai, Mediaset, Real Time, Prime).

Dal 2007 alla professione di attore affianca quella di speaker radiofonico (Radio Roma Sound, Centro Suono Sport, Radio Sonica, New Sound Level).

Marco Maracci: pianista, tastierista e fonico.
Dopo gli studi di pianoforte classico, moderno e jazz collabora come tastierista con molti gruppi musicali e produzioni: Metamorfosi (rock progressive), Jesus Christ Superstar, Hair, Ballandi produzioni, tour “Ballando con le stelle”, Alan Parsons, U- rock, Deep Purple opening act (tour europeo).
Dal 2009 lavora come fonico Resident dello studio Totosound di Roma, occupandosi di tutte le produzioni interne e collaborando, tra gli altri, con: Luigi Saccá, Fabrizio Bosso, Walter Ricci, Moneskin, Samuele Bersani, Subsonica, Durdust, Avincola, Marco Sinopoli, Eugenio Vatta.

Stagione Teatro e Musica

Stagione Teatro e Musica

Lingua Matrigna

Lingua Matrigna

“…sono tornata analfabeta. Io che leggevo già a quattro anni. […]All’età di ventisette anni mi iscrivo ai corsi estivi dell’Università di Neuchàtel, per imparare a leggere.”

 

Agota Kristof è nata in Ungheria nel 1935. Il padre è un insegnante, l’unico insegnante del suo piccolo paese. A 14 anni entra in collegio. Nel 1956 lascia clandestinamente l’Ungheria. È la storia di una bambina poi ragazza e poi donna, costretta ad abbandonare la sua terra natale insieme al marito e figlia neonata, quando l’Armata rossa interviene in Ungheria per sedare le rivolte popolari per rifugiarsi in Svizzera. Sfida il freddo, la povertà, la sofferenza, la fame, la solitudine e la mancanza di qualcosa che in una situazione come quella dell’autrice, potrebbe essere considerata secondaria, invece non lo è affatto: la conoscenza della lingua. Con la perdita della Madre Patria, si diventa orfani della Madre Lingua. “ come spiegargli, senza offenderlo, e con le poche parole che so di francese, che il suo bel paese non è altro che un Deserto, per noi rifugiati, un deserto che dobbiamo attraversare per giungere a quella che chiamiamo “ integrazione”, “assimilazione”?.

 

In questa autobiografia scarna ma precisa, com’è il suo stile, la Kristof analizza e racconta la natura delsuo disagio più grande nella condizione di profuga: la perdita di identità intellettuale. Incapace di esprimersi e di capire cosa le succede attorno, non conoscendo la lingua francese, si definisce muta e sorda. Ed è questo che la messa in scena vuole urlare in silenzio allo spettatore…. Qual è lo stato d’animo di urgenza comunicativa non sorretta da mezzi espressivi adeguati, l’inquietudine che provachi approda da profugo in terra straniera, chi da anziano non è messo nelle condizioni di capire i nuovi mezzi di comunicazione pur costretto ad usarli, o ancora più semplicemente l’incomunicabilità tra generazioni differenti, come tra Agota e sua madre….Poche le parole che si scambiavano nella sua infanzia, nessuna nella sua adolescenza in collegio e poi oltre confine… fino ritrovarsi orfani di madregenitrice e madre lingua insieme, lontano da quel posto “dove ogni cosa aveva un nome noto, ogni stato emotivo aveva delle parole per descriverlo…”

 

La Nostra Analfabeta parla al pubblico per ricordarsi quanta strada ha percorso prima di avere la gratificazione di vedere le proprie opere tradotte da altri in tutto il mondo. Per ricordare ed incoraggiare quanti come lei, orfani di Terra e di Lingua devono ricominciare in età adulta con l’alfabeto della Lingua Matrigna. Ogni parola ha una radice e questa germoglia in noi sin dalla vita intrauterina, ascoltando il mondo che ci circonda… strappati da quel mondo si cerca di restare a galla in acque sconosciute. Come sopravvivere senza disintegrarsi ma integrandosi? Ed proprio lo Scrivere che, in esilio, diventa il suo mezzo per navigare nelle acque sconosciute di una nuova cultura, il suo modo per sopportare gli anni tanto odiati, quelli in una fabbrica di orologi dove sente soltanto il ritmo delle macchine e a quel ritmo deve adeguarsi. E decide di farlo proprio nella lingua francese, che così tanto prima aveva detestato: leggere e scrivere è, per lei, “una malattia”, un bisogno impellente. “ questa lingua, il francese, non l’ho scelta io. Mi è stata imposta dal caso, dalle circostanze. So che non riuscirò mai a scrivere come scrivono gli scrittori francesi di nascita. Ma scriverò come meglio potrò. È una sfida. La sfida di un Analfabeta.”

Patrizia Labianca – Marinella Anaclerio

 

Con Patrizia Labianca

Progetto e regia Marinella Anaclerio

Organizzazione Dario Giliberti

Comunicazione Marilù Ursi

 

MI ABBATTO E SONO FELICE

MI ABBATTO E SONO FELICE

MI ABBATTO E SONO FELICE

Il monologo eco-sostenibile

Una eco produzione Mulino ad Arte

SABATO 20 Aprile ore 21:00

SABATO 20 Aprile

Teatro a pedali

UNO SPETTACOLO ECO – SOSTENIBILE, UN’ESPERIENZA NUOVA PER IL PUBBLICO

Siamo una compagnia teatrale fondata nel 2012 da Daniele Ronco, Jacopo Trebbi
e Costanza Frola e oggi diretta da Daniele Ronco con un team di lavoro affiatato,
che da anni lavora per trasformare i sogni in progetti realizzati con e per il pubblico. Negli anni si sono affiancati a Mulino ad Arte molti artisti, fra i quali Riccardo Bellandi, Daniele Salvo, Raffaele Latagliata, Luigi Saravo, Marco Lorenzi, Marco Cavicchioli, Elena Aimone, Tullio Solenghi, Ugo Dighero, Pierpaolo Congiu, Lia Tomatis, contribuendo ad arricchirne il percorso artistico.

Dopo diversi anni di ricerca abbiamo focalizzato la nostra energia creativa in favore della produzione green. Amiamo il nostro Pianeta e vogliamo far riflettere attraverso il teatro sulle grandi sfide del nostro presente. Sentiamo forte la necessità di vivere in armonia con la “casa” che ci ospita, perché senza questa armonia non rimarrà nulla di noi.

Vogliamo sfatare il mito per cui il green non fa “show” e per questo abbiamo cambiato radicalmente la nostra forma mentis, passando da un teatro fatto per il pubblico
a un teatro fatto con il pubblico.

La fortuna di amare NEI TEATRI

La fortuna di amare NEI TEATRI

Stagione 22-23

teatro della dodicesima

La fortuna di amare NEI TEATRI

Giuseppe de Candia

La fortuna di amare NEI TEATRI

6 APRILE 2024 – TEATRO DELLA XII – ROMA

Giuseppe de Candia presenta “La fortuna di amare NEI TEATRI”, due uniche date nel 2024 nei teatri. Il 6 Aprile a Roma, presso il TEATRO DELLA XII, l’11 Maggio a Bisceglie, presso il TEATRO POLITEAMA ITALIA.

Il cantautore, al completo con la sua band, eseguirà dal vivo i brani del nuovo album “La fortuna di amare”, uscito lo scorso 28 Novembre ed i precedenti brani pubblicati nel corso della sua carriera artistica.

One-man show fatto di ritmi affabulanti, umorismo allucinato, trasformismo, performance sceniche e vocali. Spettacolo per attore solo, parlato a più voci, comico suo malgrado.
La fine del mondo è alle porte, questo almeno è ciò che si sente mormorare alle finestre, nelle strade, alla radio.
Si porta sulla scena un’umanità confusa che non sa dove aggrapparsi, se non alla propria miseria.
I personaggi appaiono come cellule impazzite, sproloquiano, si parlano addosso. 
Un delirio organizzato per mettere alla berlina questa umanità che sbraita sulla vita, sulla morte e su un dio che non risponde.
E’ un’umanità che si crede chissà chi, che si porta dietro l’arroganza e la colpa di voler parlare di un altrove, di un dio che fa scopa con l’inconoscibile, con l’indicibile. E’ la volgarità di voler spiegare qualcosa, quando niente si può spiegare.
La scena è nuda e cruda, a riempire lo spazio i quadri sonori disegnati vocalmente con l’aiuto della loop station che continua ad essere, come nei lavori precedenti, elemento di scrittura scenica e drammaturgia musicale.

BREVE SINOSSI
Il caos è prossimo a venire. Questo è ciò che si auspica l’uomo che, non potendo nulla contro la sua miseria, si fa portavoce e bandiera di popolo e si rivolge al suo dio. Invano. La contemporaneità s’attacca alle facezie e danza claudicante su versi sciolti che narrano di dei pagani e amori sbilenchi che aspettano chissà da quando, per tragici equivoci da commedia degli errori. Così il popolo s’agita e, per trovare un posto nel mondo, prova a darsi un compito da fare – cucinando nel cuore della notte, sproloquiando su ciò che sarà, gridando senza veli la propria dispersione – e si fa timidamente avanti, con tutta l’ingenuità del caso, una riforma strutturale cialtrona, con un programma teocratico tout court, infarcito di estremismo confuso e dozzinale. C’è chi spera nella fine e chi, con malcelato cinismo, la fine dice di averla vissuta già, chissà quante volte.
“E’ la fine di un’Era. E’ la fine di tutto. E’ la fine di niente, se ricomincia tutto”.

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Pursue Respighi Orchestra

Stagione 22-23

teatro della dodicesima

CONCERTO DELLA PURSUE
RESPIGHI
ORCHESTRA

IL PROGETTO DELLA YOUNG ORCHESTRA

l format che creeremo per seguire l’avventura della Orchestra PRO avrà un taglio nuovo anche per chi ci leggerà; fin dal primo incontro della YOUNG ORCHESTRA PRO infatti pubblicheremo delle schede di approfondimento alla nostra maniera, ossia arricchendole con un fumetto.

Racconteranno sia il brano del repertorio dell’orchestra, sia la vita e il contesto storico in cui ha vissuto l’autore del brano. Questo racconto farà da introduzione alla trascrizione e distribuzione delle partiture della orchestra che vi metteremo a disposizione in fondo all’articolo. il progetto si chiama: LA STORIA DI UNA CANZONE

Riuniremo tutti gli articoli prodotti in un libro concept fatto da fumetto + scheda di approfondimento + spartiti, interessante per gli appassionati di musica ma anche per tutti i curiosi.

Non vi resta che entrare a far parte del nostro gruppo di lettori rimanendo in attesa della prima puntata delle avventure delle PRO e della STORIA DI UNA CANZONE.

One-man show fatto di ritmi affabulanti, umorismo allucinato, trasformismo, performance sceniche e vocali. Spettacolo per attore solo, parlato a più voci, comico suo malgrado.
La fine del mondo è alle porte, questo almeno è ciò che si sente mormorare alle finestre, nelle strade, alla radio.
Si porta sulla scena un’umanità confusa che non sa dove aggrapparsi, se non alla propria miseria.
I personaggi appaiono come cellule impazzite, sproloquiano, si parlano addosso. 
Un delirio organizzato per mettere alla berlina questa umanità che sbraita sulla vita, sulla morte e su un dio che non risponde.
E’ un’umanità che si crede chissà chi, che si porta dietro l’arroganza e la colpa di voler parlare di un altrove, di un dio che fa scopa con l’inconoscibile, con l’indicibile. E’ la volgarità di voler spiegare qualcosa, quando niente si può spiegare.
La scena è nuda e cruda, a riempire lo spazio i quadri sonori disegnati vocalmente con l’aiuto della loop station che continua ad essere, come nei lavori precedenti, elemento di scrittura scenica e drammaturgia musicale.

BREVE SINOSSI
Il caos è prossimo a venire. Questo è ciò che si auspica l’uomo che, non potendo nulla contro la sua miseria, si fa portavoce e bandiera di popolo e si rivolge al suo dio. Invano. La contemporaneità s’attacca alle facezie e danza claudicante su versi sciolti che narrano di dei pagani e amori sbilenchi che aspettano chissà da quando, per tragici equivoci da commedia degli errori. Così il popolo s’agita e, per trovare un posto nel mondo, prova a darsi un compito da fare – cucinando nel cuore della notte, sproloquiando su ciò che sarà, gridando senza veli la propria dispersione – e si fa timidamente avanti, con tutta l’ingenuità del caso, una riforma strutturale cialtrona, con un programma teocratico tout court, infarcito di estremismo confuso e dozzinale. C’è chi spera nella fine e chi, con malcelato cinismo, la fine dice di averla vissuta già, chissà quante volte.
“E’ la fine di un’Era. E’ la fine di tutto. E’ la fine di niente, se ricomincia tutto”.

Il galeone dei pirati <span class="dashicons dashicons-calendar"></span>

Il galeone dei pirati

Stagione 22-23

teatro della dodicesima

IL GALEONE DEI PIRATI

SPETTACOLO PER BAMBINI DI ENZA PATERRA

con
Attori e Burattinai: Francesco Pulsinelli, Fabio Di Cocco,

Enza Paterra
Scene : Francesco Pulsinelli

Musiche : Domenico Pulsinelli Pupazzi e Costumi : Enza Paterra

Produzione : TEATRI MONTANI
cooproduzione Teatro dell’Aventino e Teatro del Giardino

______________

Il Pirata Fiamma approda con i suoi amici Bucanieri su di un isola dispersa nell’oceano e fa amicizia con gli indigeni.

All’improvviso dalla poppa della “Victoria” irrompe Capitan Pizzo, suo comandante e Pirata Leggendario delle cause perse.

Capitan Pizzo, tipo eccentrico, ha un complotto con il suo più fidato amico il pirata Bruciato e fa di tutto per non farsi scoprire da Fiamma e dal pirata Spugna, ma i due più furbi di loro scoprono tutto, in ballo c’è una magica cassa del tesoro la cui chiave è proprio “il medaglione di Morgan” che il Capitano indossa, così decidono di giocare un gran scherzetto al Capitano e Bruciato …

Da questo momento in poi tra colpi di scena duelli e tante risate i Nostri Pirati dimostreranno tutta la loro comicità.

La storia è costruita in modo tale che i bambini interagiranno direttamente con gli attori interpretando gli indigeni dell’isola con il compito di distrarre e prendere in giro Capitan Pizzo. Saranno seduti su dei tappeti azzurri di fronte al Galeone dei Pirati che fungerà sia da scenografia che da baracca dei burattini.

One-man show fatto di ritmi affabulanti, umorismo allucinato, trasformismo, performance sceniche e vocali. Spettacolo per attore solo, parlato a più voci, comico suo malgrado.
La fine del mondo è alle porte, questo almeno è ciò che si sente mormorare alle finestre, nelle strade, alla radio.
Si porta sulla scena un’umanità confusa che non sa dove aggrapparsi, se non alla propria miseria.
I personaggi appaiono come cellule impazzite, sproloquiano, si parlano addosso. 
Un delirio organizzato per mettere alla berlina questa umanità che sbraita sulla vita, sulla morte e su un dio che non risponde.
E’ un’umanità che si crede chissà chi, che si porta dietro l’arroganza e la colpa di voler parlare di un altrove, di un dio che fa scopa con l’inconoscibile, con l’indicibile. E’ la volgarità di voler spiegare qualcosa, quando niente si può spiegare.
La scena è nuda e cruda, a riempire lo spazio i quadri sonori disegnati vocalmente con l’aiuto della loop station che continua ad essere, come nei lavori precedenti, elemento di scrittura scenica e drammaturgia musicale.

BREVE SINOSSI
Il caos è prossimo a venire. Questo è ciò che si auspica l’uomo che, non potendo nulla contro la sua miseria, si fa portavoce e bandiera di popolo e si rivolge al suo dio. Invano. La contemporaneità s’attacca alle facezie e danza claudicante su versi sciolti che narrano di dei pagani e amori sbilenchi che aspettano chissà da quando, per tragici equivoci da commedia degli errori. Così il popolo s’agita e, per trovare un posto nel mondo, prova a darsi un compito da fare – cucinando nel cuore della notte, sproloquiando su ciò che sarà, gridando senza veli la propria dispersione – e si fa timidamente avanti, con tutta l’ingenuità del caso, una riforma strutturale cialtrona, con un programma teocratico tout court, infarcito di estremismo confuso e dozzinale. C’è chi spera nella fine e chi, con malcelato cinismo, la fine dice di averla vissuta già, chissà quante volte.
“E’ la fine di un’Era. E’ la fine di tutto. E’ la fine di niente, se ricomincia tutto”.

Dove non mi hai mai portata <span class="dashicons dashicons-calendar"></span>

Dove non mi hai mai portata

Stagione 22-23

teatro della dodicesima

DOVE NON MI HAI MAI PORTATA

DI E CON MARIA GRAZIA CALANDRONE

1965. Un uomo e una donna, dopo aver abbandonato nel parco di Villa Borghese la figlia di otto mesi, compiono un gesto estremo.
2021. Quella bambina abbandonata era Maria Grazia Calandrone. Decisa a scoprire la verità, torna nei luoghi in cui sua madre ha vissuto, sofferto, lavorato e amato. E indagando sul passato illumina di una luce nuova la sua vita.

Dove non mi hai portata è un libro intimo eppure pubblico, profondamente emozionante e insieme lucidissimo. Attraversando lo specchio del tempo, racconta una scheggia di storia d’Italia e le vite interrotte delle donne. Ma è anche un’indagine sentimentale che non lascia scampo a nessuno, neppure a chi legge.

One-man show fatto di ritmi affabulanti, umorismo allucinato, trasformismo, performance sceniche e vocali. Spettacolo per attore solo, parlato a più voci, comico suo malgrado.
La fine del mondo è alle porte, questo almeno è ciò che si sente mormorare alle finestre, nelle strade, alla radio.
Si porta sulla scena un’umanità confusa che non sa dove aggrapparsi, se non alla propria miseria.
I personaggi appaiono come cellule impazzite, sproloquiano, si parlano addosso. 
Un delirio organizzato per mettere alla berlina questa umanità che sbraita sulla vita, sulla morte e su un dio che non risponde.
E’ un’umanità che si crede chissà chi, che si porta dietro l’arroganza e la colpa di voler parlare di un altrove, di un dio che fa scopa con l’inconoscibile, con l’indicibile. E’ la volgarità di voler spiegare qualcosa, quando niente si può spiegare.
La scena è nuda e cruda, a riempire lo spazio i quadri sonori disegnati vocalmente con l’aiuto della loop station che continua ad essere, come nei lavori precedenti, elemento di scrittura scenica e drammaturgia musicale.

BREVE SINOSSI
Il caos è prossimo a venire. Questo è ciò che si auspica l’uomo che, non potendo nulla contro la sua miseria, si fa portavoce e bandiera di popolo e si rivolge al suo dio. Invano. La contemporaneità s’attacca alle facezie e danza claudicante su versi sciolti che narrano di dei pagani e amori sbilenchi che aspettano chissà da quando, per tragici equivoci da commedia degli errori. Così il popolo s’agita e, per trovare un posto nel mondo, prova a darsi un compito da fare – cucinando nel cuore della notte, sproloquiando su ciò che sarà, gridando senza veli la propria dispersione – e si fa timidamente avanti, con tutta l’ingenuità del caso, una riforma strutturale cialtrona, con un programma teocratico tout court, infarcito di estremismo confuso e dozzinale. C’è chi spera nella fine e chi, con malcelato cinismo, la fine dice di averla vissuta già, chissà quante volte.
“E’ la fine di un’Era. E’ la fine di tutto. E’ la fine di niente, se ricomincia tutto”.

Il canto di Ulisse <span class="dashicons dashicons-calendar"></span>

Il canto di Ulisse

Stagione 22-23

teatro della dodicesima

IL CANTO DI ULISSE

CON FLAVIO ALBANESE

« Andiamo a fare un viaggio nella terra dei Giganti? Volete imparare dalla Maga Circe gli ingredienti per fare la pozione magica che trasforma gli uomini in animali? Sapete come si chiama l’indovino cieco che prevede il futuro? Sapete dove possiamo trovare Tiresia? Avete mai sentito il famoso canto delle Sirene? Lo vorreste sentire? Sapete quanti piedi ha il drago Scilla? Dodici! E quante teste? Sei!! » 

Flavio Albanese inizia così il suo viaggio nel mondo di Ulisse, invitando gli spettatori ad “entrare” nell’Odissea e nel suo immaginario, popolato da Eroi, Dei, creature magiche e suoni.  Protagonista dello spettacolo è la parola in prosa e in versi che alternata ai canti suggestivi del quartetto vocale Faraualla, che da anni si impegna nella ricerca della musica etnica e dell’uso della voce come “strumento”, darà vita e corpo al nostro viaggio nel mito. Alterneremo dunque la tecnica di narrazione ad alcuni dei più famosi versi dell’odissea in un continuo gioco di ritmi e di canti capaci di spostare l’attenzione del pubblico dal passato al presente in un vortice che ci permetterà di incontrare Atena, Polifemo, Circe, Scilla e Cariddi, Tiresia…fino alla morte di Antinoo e risvegliarci in platea con la sensazione di aver parlato con Ulisse in persona.

con Flavio Albanese
regia Marinella Anaclerio

Concerto di Musica Classica <span class="dashicons dashicons-calendar"></span>

Concerto di Musica Classica

Stagione 22-23

teatro della dodicesima

CONCERTO DI MUSICA CLASSICA

CON LA PIANISTA
CLAUDIA SQUARCIAFICHI

Concerto di musica classica con la pianista Claudia Squarciafichi

One-man show fatto di ritmi affabulanti, umorismo allucinato, trasformismo, performance sceniche e vocali. Spettacolo per attore solo, parlato a più voci, comico suo malgrado.
La fine del mondo è alle porte, questo almeno è ciò che si sente mormorare alle finestre, nelle strade, alla radio.
Si porta sulla scena un’umanità confusa che non sa dove aggrapparsi, se non alla propria miseria.
I personaggi appaiono come cellule impazzite, sproloquiano, si parlano addosso. 
Un delirio organizzato per mettere alla berlina questa umanità che sbraita sulla vita, sulla morte e su un dio che non risponde.
E’ un’umanità che si crede chissà chi, che si porta dietro l’arroganza e la colpa di voler parlare di un altrove, di un dio che fa scopa con l’inconoscibile, con l’indicibile. E’ la volgarità di voler spiegare qualcosa, quando niente si può spiegare.
La scena è nuda e cruda, a riempire lo spazio i quadri sonori disegnati vocalmente con l’aiuto della loop station che continua ad essere, come nei lavori precedenti, elemento di scrittura scenica e drammaturgia musicale.

BREVE SINOSSI
Il caos è prossimo a venire. Questo è ciò che si auspica l’uomo che, non potendo nulla contro la sua miseria, si fa portavoce e bandiera di popolo e si rivolge al suo dio. Invano. La contemporaneità s’attacca alle facezie e danza claudicante su versi sciolti che narrano di dei pagani e amori sbilenchi che aspettano chissà da quando, per tragici equivoci da commedia degli errori. Così il popolo s’agita e, per trovare un posto nel mondo, prova a darsi un compito da fare – cucinando nel cuore della notte, sproloquiando su ciò che sarà, gridando senza veli la propria dispersione – e si fa timidamente avanti, con tutta l’ingenuità del caso, una riforma strutturale cialtrona, con un programma teocratico tout court, infarcito di estremismo confuso e dozzinale. C’è chi spera nella fine e chi, con malcelato cinismo, la fine dice di averla vissuta già, chissà quante volte.
“E’ la fine di un’Era. E’ la fine di tutto. E’ la fine di niente, se ricomincia tutto”.